Di solito non ci vede nessuno, ma siamo quelli che reggono le scenografie mentre gli attori sbagliano battuta, che sistemano costumi con lo scotch a due minuti dall’ingresso, che fanno miracoli in silenzio.
Una sera, prima di una replica di una commedia brillante, mi avvicina un tecnico nuovo.
«Oh, ma quel signore in giacca, in prima fila… sai chi è? Sta lì da un po’. È venuto anche ieri, e l’altro ieri.»
Mi affaccio dietro il sipario: signore sulla settantina, giacca grigia, sguardo fisso sul palco, mani conserte. Immobile, concentrato, tipo esaminatore d’anime.
Penso: critico teatrale. Oppure marito di una del cast. O uno che ha perso il telecomando di casa e ha scelto di rivedere lo spettacolo tre volte.
La sera va avanti, solito caos gestito con ordine.
Un attore entra con la zip dei pantaloni aperta (gliela chiudiamo in corsa nel cambio scena), un faro va per i fatti suoi per tre minuti, una comparsa sbaglia porta e compare sul palco da dietro la scenografia IKEA.
Tutto normale, tutto invisibile al pubblico.
Alla fine, mi fermo nel foyer per vedere chi esce.
Il signore in giacca grigia resta un po’ indietro, guarda il palco vuoto, poi viene verso di me.
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