Sono una grafica freelance. Di quelle che lavorano da casa, col tè freddo sulla scrivania e mille tab aperti.
Ieri mi contatta un tizio (conosciuto tramite un passaparola) per realizzare un logo per il suo “nuovo brand di abbigliamento streetwear”.
Già dal primo messaggio qualcosa non tornava: “Vorrei un logo tipo Nike, ma con le iniziali del mio nome, cioè G.S.M.P.Q., tutto insieme. Minimal ma impattante. Deve avere dentro un lupo, un tridente e se ci sta un occhio egizio”.
Ok. Già visualizzavo un incubo.
Gli chiedo budget: “Massimo 30 euro, ma se spacchi ti faccio pubblicità su Instagram”.
Dopo un’ora di discussione accetta il mio preventivo “vero” e mi manda una bozza disegnata a penna su un tovagliolo. Giuro. Con scritto:
“Questo è solo un concetto, poi fallo professionale, tipo Apple.”
Passo due giorni a lavorarci, gli mando una prima proposta (semplificata ovviamente), con il lupo stilizzato, font moderno, palette urban.
Mi risponde con un vocale di 2 minuti e mezzo in cui mi spiega che:
Il lupo “gli ricorda troppo un cane”
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