“Io voglio quello della nonna.”

Silenzio. Lei sospira, ma in modo appena percettibile. Poi con una calma che, giuro, invidio profondamente, si accovaccia accanto a lui e prova a spiegarglielo:

“Lo so, tesoro. Ma quello della nonna non lo fanno qui. Quello è nel suo freezer, ed è diverso. Però questo è buonissimo. È fresco, fatto oggi. Ti va di assaggiarne uno?”

Lui: “Non è quello vero.”

Lei si rialza e mi guarda, non con sguardo implorante, ma come a dire: “Adesso vediamo quanto ci mettiamo.”

Inizio a elencare qualche gusto, gli faccio vedere quelli più semplici, evito subito quelli troppo elaborati. Mi accorgo che il bambino non ha fame di gelato: ha bisogno di rassicurazione.

Lei intanto lo osserva con una pazienza quasi irreale. Non lo sgrida, non alza la voce, non gli dice “Allora andiamo via”, cosa che sento ogni due per tre.

Poi succede qualcosa che non mi aspettavo. Si abbassa di nuovo, gli prende piano una manina e gli dice:

“E se oggi scegliamo un gusto solo nostro? Un gusto segreto. Uno che nessuno conosce. Nemmeno la nonna. Uno che sarà solo nostro. Che ne dici?”

Il bambino la guarda per qualche secondo, incerto. Poi mormora:

“Ma dev’essere davvero segreto.”

“Certo. Non lo diciamo a nessuno. Lo chiederemo in codice.”