Io ve lo dico con calma, ma dentro sto urlando come una motosega che taglia un sasso.
Gestisco giardini. Tanti. Privati, condominiali, pubblici. Vedo ogni tipo di prato, pianta, cliente e abominio.

Oggi però ho raggiunto il punto di non ritorno.

Villa in collina. Chiamata urgente: “il giardino è in crisi”.
Arrivo. Mi apre un signore in camicia di lino bianco, profumo da rivista patinata e sguardo da “io ho fatto i soldi e tu sei fortunato a respirare la mia aria”.

Mi accompagna.
Tre ulivi in vaso – messi a nord, all’ombra, in un angolo dove manco il muschio attecchisce – secchi come il panettone a Ferragosto.
Lui mi guarda e fa:

“Credo abbiano bisogno di potatura zen.”
ZEN.
Cioè non “acqua”, non “terra adatta”. ZEN.

Poi mi indica il prato (che definire prato è insultare ogni filo d’erba del pianeta) e mi dice:

“Vorrei che avesse l’effetto Versailles, ma selvaggio.”
Non ho idea di cosa significhi. Ma annuisco. Perché ormai ho capito.