Ho cominciato a fare questo mestiere nel ’73. All’epoca, la cartella clinica era scritta a penna e il massimo della tecnologia era il doppler che funzionava “quando voleva lui”.

C’era rispetto, sì. Ma anche un silenzio assordante.
Le donne arrivavano accompagnate dal marito, dalla madre, o da entrambe. Parlare apertamente di contraccezione era già una piccola ribellione.

Mi ricordo una signora, sulla quarantina, che al terzo figlio mi chiese sottovoce, come se stesse chiedendo una sigaretta a messa:

“Ma… è vero che esistono le pillole per non rimanere incinta?”

Ora, 2020 e rotti: lo studio è un set da serie TV. Monitor 4K, app per le prenotazioni, coppie che arrivano insieme, si siedono, lui prende appunti sull’iPad, lei ha già fatto le domande all’intelligenza artificiale.

Ma sapete una cosa?
Il corpo è sempre lo stesso. Cambiano le parole, cambia il contesto, ma la ciclicità, la paura, la voglia di sentirsi ascoltate, quella no. Quella resta.