Lavoro in una pizzeria al taglio con un po’ di posti a sedere, in una zona di passaggio tra uffici e abitazioni. Classico via vai di pranzo veloce e gente in pausa. Nulla di strano.
Tranne quel mercoledì.

Sono le 13:05, pieno orario di ressa. Sto tagliando tranci e preparando scontrini con la mano sinistra mentre con la destra chiudo una scatola da asporto. Entra un ragazzo, sui trent’anni, aria tranquilla, zaino in spalla. Si avvicina al bancone, dà un’occhiata rapida e poi fa:
— Ciao! Senti, ma la pizza bianca… è senza glutine?

— No, guarda, la pizza bianca è solo senza pomodoro. È l’impasto normale.

Lui fa sì con la testa, come se avesse capito, ma dopo qualche secondo:
— Ma quindi senza pomodoro vuol dire senza glutine?

Io mi fermo. Cerco di restare gentile.
— No, il glutine è nella farina, non nel pomodoro.

Silenzio.
Lui mi guarda.
— Eh ma… la farina è bianca. E la pizza è bianca. Quindi?

Ho un attimo di vuoto. Non capisco se mi sta prendendo in giro o se è davvero confuso.

— No, davvero, guardi, il glutine non ha colore. È una proteina. Anche se la pizza è bianca, l’impasto è lo stesso della rossa.

Lui ci pensa. Poi si illumina.

— Ahhh! Ok. Allora prendo una margherita. Così almeno il pomodoro lo vedo.
— Certo.

Gliela scaldo. Gliela passo. Va a sedersi. Tutto tranquillo.
Dopo cinque minuti torna al banco.
— Scusa… ma questa mozzarella è “delattosata”?

— No, è normale.

— Ah. Ma è bianca anche questa, però.

Annuisco piano.
— Sì. Come il latte.

Sorride, prende una forchettata, poi mi guarda e fa:
— Io comunque studio marketing, eh. La comunicazione è importante.

Ora non voglio prendere in giro il ragazzo, ma quante ore di lavoro ha fatto per arrivare cosi fuso?