Era un martedì pomeriggio, e in sartoria c’era quella calma piatta tipica dei giorni senza clienti. Me ne stavo lì, piegato su un pantalone da accorciare, con la radio accesa in sottofondo, quando entra un signore sui settant’anni, con l’aria elegante e un cappello di feltro che non vedevi più da anni.

Tira fuori da una busta una giacca vecchia, consumata sui gomiti, il tessuto ormai stanco. Mi guarda e dice:
“Riesce a sistemarla? So che non sembra, ma ci tengo molto.”

La prendo in mano, la guardo. Non era una giacca, era quasi un pezzo di memoria. Gli chiedo se ha un valore affettivo, e lui sorride appena:
“È la giacca che indossavo quando ho conosciuto mia moglie. Era il 1969. Lei mi disse che sembravo appena uscito da un film. Mi fece sentire il re del mondo.”

Mi prende un colpo. Da anni faccio questo lavoro, e ogni tanto capita un capo così, carico di storie. Allora mi ci metto con calma, punto a punto, col filo giusto, senza fretta. Ci lavoro due giorni, cercando di ridarle dignità senza snaturarla.