Ci va. Passano cinque minuti. Rientra nel camerino con una faccia pensierosa.
“Comodo, eh. Ma secondo lei quanto dura? Perché l’ultimo che ho preso dopo due lavaggi sembrava un’amaca.”
Le spiego il lavaggio a mano, la retina per la lavatrice, l’assenza di centrifuga. Lei scuote la testa come se le stessi raccontando la procedura di atterraggio di un Airbus.
“Facciamo che me ne prendo uno. Se mi convince, torno e ne prendo altri. Ma se no… torno e glielo dico.”
“Va bene, signora.”
Mentre la accompagno alla cassa, mi dice:
“Sa cosa? Quando avevo vent’anni bastava un filo di pizzo e il mondo mi guardava. Ora mi serve una cinghia d’acciaio per tenere tutto su e mi dicono pure che ‘la femminilità è dentro di te’… Ma cosa vuoi che sia femminile quando ti ritrovi con l’elastico sotto l’ascella!”
Sorrido, le metto la scatolina nel sacchetto, e le dico:
“Femminile è quello che si fa star bene. Anche se è beige. Anche se ha le bretelle larghe. Anche se non fa ‘oh là là’.”
Lei mi guarda e dice:
“Mi sa che torno davvero.”
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