Aeroporto qualsiasi, in un qualsiasi Paese europeo.
Coda al metal detector: tutto fila liscio, passo dopo passo.

Davanti a me, una signora elegante: bip bip, borse dentro, tutto ok.
Dietro, mio marito: passa senza problemi, con quel passo da “io viaggio sempre leggero” (grazie tante, tanto le sue cose stanno metà nella mia valigia).
Poi tocca a me.

Il bip non suona, passo tranquilla, ma vedo l’addetto allo scanner bagagli che si blocca. Fronte aggrottata. Si sporge. Borbotta qualcosa al collega.
Il collega si avvicina.
Un terzo arriva.
Il nastro si ferma.

E con lui… la mia valigia a mano. Ferma lì, dentro lo scanner, con TUTTI che fissano lo schermo.

Parte la scena da film poliziesco: uno chiama un supervisore, un altro mi guarda e fa cenno di attendere. Io cerco mio marito con lo sguardo… lui è già dall’altra parte, appoggiato alla colonna, a osservare divertito.

La mia fronte comincia a diventare una fontanella: “Ma cosa c’è dentro? Non ho messo liquidi, non ho forbici, non ho oggetti strani…”.
Poi uno degli addetti mi fa segno: «Può aprire il bagaglio, signora».

E lì, momento teatrale: io, il mio trolley, tre addetti che mi guardano, mio marito che ormai ride, e dietro… un’intera fila di passeggeri in attesa, con sguardo da “sentiamo un po’ cos’ha questa”.