Un pomeriggio in un esercizio commerciale.
Ci telefonano dalla sede centrale comunicandoci che, a causa di una rapina a un portavalori sull’autostrada, la consegna dei prodotti in promozione non può aver luogo nella data stabilita.

Ovviamente, gli avventori che hanno già provveduto alla prenotazione non perdono nulla (e si inizia a contattarli telefonicamente una volta avuta la notizia, peraltro riportata anche dai media nazionali) e si provvede subito a posizionare l’avviso sia all’ingresso del negozio sia qua e là per lo stesso, per massima trasparenza.

La stessa promozione viene prolungata di un giorno e nella comunicazione ci si scusa per il disagio (peraltro non provocato da noi).

Che accade?

Un fenomeno che passava di lì per caso (sua stessa ammissione) afferma che quanto da noi comunicato consiste in una bugia, con il fine di tenere da parte per noi (noi dipendenti) i prodotti e fruire noi stessi della promozione.

Si permette, addirittura, di apostrofarci quali “truffatori”.

Dunque, mediante uno smartphone ci sintonizziamo su un canale di sole notizie, mostrando che quanto da noi affermato consiste in realtà.

Inoltre, si precisa a tale cliente che quanto da egli proferito consiste in diffamazione, dato che la frase è stata pronunciata in presenza di altre persone.

L’avventore risponde che essendo in democrazia chiunque può esprimere il proprio pensiero e che “il cliente ha sempre ragione”.

Noi pacatamente rispondiamo che è lecito esprimere il pensiero, ma anche pagandone le conseguenze, dato che se esprimendo un pensiero si ingiuria e/o diffama qualcuno si è passibili di querela.