C’è una frase che, nel nostro lavoro, ripetiamo almeno cinquanta volte al giorno. La dico così tante volte che potrei tatuarmela sulla fronte per risparmiare fiato:
“Salve, se effettua l’ordine entro le 13, i tempi di consegna sono di circa 7 giorni lavorativi. Che, tradotto in giorni reali, diventano anche 10 se in mezzo c’è il weekend o qualche giorno perso dal corriere.”
È un’informazione semplice, chiara, logica. Eppure ogni volta è come se la dicessimo in una lingua antica e dimenticata.
Stamattina, venerdì, mi chiama una signora.
“Buongiorno, sono la signora Tizio Caio. Ho ordinato il prodotto XYZ venerdì scorso, nel pomeriggio. Mi dite qualcosa?”
Controllo l’ordine. Tutto regolare.
“Salve, sì, vedo che il suo pacco è in consegna proprio per oggi.”
Silenzio. Poi sbotta:
“Ma come?! È da venerdì scorso che l’ho ordinato!”
A quel punto ho fatto un respiro profondo.
“Sì signora, esattamente. Oggi è venerdì, quindi è passato giusto il tempo previsto. L’ordine è partito nei tempi normali, ha viaggiato, e oggi dovrebbe arrivare.”
“Eh… ma io mica posso stare tutto il giorno in attesa!”
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