Era una serata come tante. Siamo più o meno a metà turno, con un bel via vai di clienti che entrano per un cono, una coppetta, qualcuno per prendere una torta da portare a cena. A un certo punto, vedo entrare un gruppetto di ragazzi — avranno avuto 16, forse 17 anni — con quell’aria da “ci hanno mandato in missione” tipica degli adolescenti che devono occuparsi di qualcosa di vagamente organizzativo.

Si avvicinano timidamente al banco e uno di loro, a nome del gruppo, mi dice che vorrebbero prenotare una delle torte gelato esposte in vetrina, da ritirare il giorno dopo. Mi spiegano che serve per un compleanno, non specificano di chi, ma l’entusiasmo è palpabile.

Cominciano a guardare le varie opzioni: ci sono le classiche, quelle con i frutti, quelle con i biscotti, quelle a strati colorati. Ma appena incrociano lo sguardo con una torta a forma di riccio, non hanno dubbi. È lei. La torta. Decidono subito, come se l’avessero riconosciuta in mezzo a mille: “Quella, quella lì col musetto simpatico!”

A quel punto, procedo con la prassi. Prendo carta e penna e chiedo: “Bene ragazzi, mi date un nome?” – intendendo ovviamente un nome per segnare la prenotazione, qualcosa tipo Gabriele, Chiara, insomma, il nome di chi l’andrà a ritirare.

Ed è lì che comincia il bello.