Ci sono turni in gelateria che passano senza colpo ferire, tra coni standard e clienti di fretta, e poi ci sono quei pomeriggi che ti restano addosso.

Lavoro in una gelateria artigianale nel centro di una cittadina abbastanza tranquilla. Niente turismo di massa, ma un sacco di clienti abituali: mamme con passeggini, anziani con le abitudini più precise di un orologio svizzero, bambini con le facce sporche ancora prima di iniziare a mangiare.

Oggi era una di quelle giornate lente, cielo coperto, un po’ afosa ma non abbastanza per far scappare tutti al mare. Intorno alle 18:30 entrano in negozio una mamma e suo figlio.

Il bimbo avrà avuto cinque o sei anni, con quegli occhi scuri e stanchi di chi ha già deciso che niente gli va bene. La mamma invece aveva quell’espressione che riconosco subito: il misto tra “non ne posso più” e “devo tenere il controllo”.

Si avvicinano al banco. Lei mi sorride con gentilezza, di quelle che ti fanno pensare che è una persona che ci tiene a essere educata anche quando è stanca. Poi si gira verso il figlio e gli dice:

“Amore, guarda qua quanti gusti! Ce n’è anche uno nuovo al biscotto che sembra una meraviglia. Ne vuoi provare uno?”

Il bimbo la guarda e scuote la testa. Non aggressivo, non capriccioso: semplicemente no.