Domenica, ore 18:00.
Sono sola a gestire l’orda di persone che tornano dal mare: il bar, infatti, è il primo che si incontra dopo una strada in salita di 1km ed è situato anche vicino alla fermata dell’autobus; una grande combo, insomma.
La capienza del locale è di 4 persone per volta, oltre al barista. Entrano una ragazza e suo fratello:
“Ciao, mi daresti una bottiglietta di acqua naturale e una Coca-Cola?”
“Certo, prego. Sono 2.50€.”
Mi porge 1.50€:
“Guardi, forse mi sono espressa male. Sono 2.50€.”
“Uh scusa, sai… Il caldo.”
Rimango in attesa, lei mi guarda e io la guardo:
“Aspetta che cerco.”
Intanto la fila all’esterno si fa chilometrica, al che faccio entrare altri clienti e li servo. Mi barcameno tra bibite, granite, tè e quant’altro; sto attenta che nessuno freghi qualcosa, dico ai ragazzi di mettere mascherina e indossare la maglietta, di rispettare i distanziamenti, ecc…
Dopo circa 10 minuti la ragazza mi fa:
“Mi dai un’acqua naturale?”
E mi porge un euro:
“Grazie, allora vado. Ciao.”
“Signora, mi deve ancora 2.50€.”
“Uh scusa, sai… Il caldo.”
Aridaje, pensa a me con la t-shirt e i pantaloni lunghi!
“Non si preoccupi.”
Comunque rimane lì, e non scherzo, circa 30′ cercando il modo di non pagare questi 2.50€. I clienti all’esterno la guardano, sta bloccando la fila da un pezzo; chiede soldi al fratellino, lui non ne ha. Mi spazientisco, sono 30′ che è lì:
“Signora, per cortesia, sono 2.50€. Li ha? Ci sono persone che devono entrare, la capienza è limitata.”
“Ehm… No, cioè no dai. Dammi solo l’acqua, senza la Coca-Cola. Ti devo?”
“Un euro, grazie.”
E finalmente va via.
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