“Certe sere, mentre compilo cartelle e bevo caffè con la stessa rassegnazione con cui altri bevono tisane, mi rendo conto che in ospedale ci si abitua a tutto… tranne che al modo in cui le persone reagiscono alla parola “flebo”.
Tipo quello che sviene appena vede l’ago, ma un’ora prima postava una foto con sei tatuaggi e la didascalia “niente paura”.
O quelli che, appena dici ‘iniezione’, iniziano con:
– ‘Ma non ce l’ha in pillole?’
– ‘Ma la fa lei?’
– ‘Ma è nuova, l’ago?’
Una volta un signore mi ha detto:
– “Non ho paura, sono un tipo tosto.”
Dopo 5 secondi era riverso sulla barella, svenuto come un sacchetto di patate.
E poi ci sono i parenti. Quelli che entrano in stanza con lo stesso approccio di chi fa una perizia tecnica a un idraulico:
– “Scusi, ma la tachipirina non sarebbe meglio farla alle 21? Mio cugino fa così.”
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