Io faccio il manovale in un cantiere che stiamo sistemando da un mese e mezzo in periferia.
È un lavoro che ti sporca le mani, ti accorcia la schiena e ti allunga la lingua coi colleghi, perché si lavora e si chiacchiera tanto.

Ogni giorno, alla stessa ora, vedevo un vecchietto fermarsi davanti alla recinzione.
Sempre in silenzio, mani dietro la schiena, cappello con la visiera, occhi da chi ne ha viste più lui del cemento sotto i piedi.
Pensavo fosse uno di quelli che guardano e giudicano, sai? Quelli che ti fanno il gesto con la mano come a dire “eh, ai miei tempi sì che si faceva bene”.

Invece stava lì, in silenzio, guardava e poi se ne andava.

Finché un giorno non l’ho visto più.
Tre, quattro, cinque giorni.
E io, che manco so il suo nome, mi sono ritrovato a pensare:
“Magari non sta bene. Magari è successo qualcosa.”

Mi ha sorpreso quanto mi pesasse non vederlo più lì.
Non so, era come se mancasse un pezzo di routine che dava senso alle giornate.

Poi, stamattina, riappare.
Stesso cappello, stesso passo.
Ma stavolta non resta fuori.
Si avvicina, saluta e mi fa:

“Posso?”
Gli dico certo, e lui si avvicina al bordo del cantiere, guarda i blocchi che stavamo sistemando e poi mi fa:
“Quel ferro lì… se lo pieghi così, ti fa risparmiare tempo dopo.”

Lo guardo.