Mattinata tranquilla alla reception. Arriva questo ragazzo, 18 anni massimo, aria un po’ spaesata ma tutto sommato simpatico. Vuole iscriversi. Bene.
Gli passo il modulo cartaceo — sì, abbiamo ancora la versione cartacea, perché fidati, è meglio così — e inizio a seguirlo passo passo.
Nome, cognome, data di nascita… tutto ok. Poi arriva alla riga “indirizzo di residenza”.
Si ferma.
Mi guarda.
Fa quella faccia tipica del “sto per dire una cosa che spero non suoni troppo stupida, ma temo di sì”.
“Scusi… ma l’indirizzo che devo mettere è il mio?”
Al che, già con un sopracciglio per aria, gli rispondo sorridendo:
“Beh, sì, certo… ti iscrivi tu, mica tua zia.”
Lui si illumina, quasi soddisfatto della conferma.
“Ah ok, però… io non lo so il mio indirizzo.”
Silenzio.
Lo guardo.
Aspetto la battuta.
Niente.
“Come, non sai dove vivi?”
“No, non ci ho mai pensato.”
Non ci ho mai pensato.
A DOVE VIVE.
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