Lavoro in un negozio di oggettistica da quasi otto anni. È un posto piccolo, nascosto in una via laterale del centro, di quelli dove entri per cercare un portachiavi e finisci per uscire con una tazza a forma di panda, due candele profumate alla cannella e una cornice che “tanto prima o poi servirà”.
È un lavoro tranquillo. Le giornate passano tra scatoloni, clienti che chiedono “ce l’avete in beige ma meno beige?” e scaffali che sembrano giocare a Tetris con le novità.
Tra tutti i clienti che passano, ce n’è una che ricordo ogni anno. Non so il suo nome. So solo che arriva sempre tra il 25 e il 30 giugno. Sempre da sola, sempre intorno alle undici del mattino. La prima volta che l’ho notata è stato nel mio secondo anno qui, perché avevo appena sistemato le cornici nuove e lei è arrivata, ha guardato con attenzione e ne ha scelta una in legno chiaro, semplice, senza decorazioni.
Ha detto solo:
– “Questa va bene.”
Nient’altro. Pagamento in contanti, sorriso gentile, poi via.
L’anno dopo è tornata. Stesso periodo, stesso orario. Ha preso una cornice quasi identica. Così per tre anni di fila. All’inizio pensavo fosse una coincidenza. Poi, al quarto anno, non ho resistito. Mentre la incartavo, le ho chiesto:
– “Sta facendo una collezione?”
Lei ha sorriso, ma era un sorriso che non sapevo decifrare.
– “È per mia figlia. Ogni anno stampo una foto nuova. È una cosa tutta nostra.”
Poi ha ringraziato e se n’è andata.
Non ha mai detto di più. Non ha mai chiesto nulla. Entra, guarda solo le cornici di legno chiaro, ne sceglie una, paga e va. Non sbircia mai gli altri scaffali.
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