Faccio parte della polizia locale di un piccolo comune. Non siamo in una metropoli, niente inseguimenti da film o elicotteri che sorvolano la città. Il nostro pane quotidiano sono le multe per divieto di sosta, i mercatini rionali, le segnalazioni dei cittadini (spesso bizzarre), e le liti condominiali che degenerano per una siepe tagliata male.

Un lunedì mattina, siamo in servizio con la collega davanti a una scuola per il classico controllo sul traffico e sulla sicurezza dei ragazzi. Genitori ovunque, parcheggi creativi, clacson, urla tipo “corri che suona la campanella”. Il solito caos.

A un certo punto vediamo un signore che parcheggia in seconda fila, lasciando la macchina mezza in curva, mezza no. Scende con calma olimpica e si avvicina a noi fischiettando.

Gli diciamo, con educazione:
— Signore, non può parcheggiare lì. È pericoloso e blocca la circolazione.

Lui, con la mano già nella tasca della giacca, ci guarda e fa:
— Tranquilli, ci metto un attimo. Sto portando mia figlia. Poi ve lo spiego.

— Non c’è bisogno che ce lo spieghi, basta che la sposti.