Io penso: “Interessante, peccato che stia bevendo un sangiovese giovane di due anni, imbottigliato da noi la settimana prima”.
Gli amici ridono sotto i baffi, io mantengo la faccia professionale e passo al secondo vino, un bianco fresco della casa. Lui lo assaggia e dice, serio:
«Questo invece… eh, questo lo riconosco! È un Vermentino del nord Sardegna, invecchiato almeno tre anni.»
Gli altri tre quasi sputano il vino dal ridere, perché io avevo appena finito di dire che era il nostro bianco toscano dell’ultima vendemmia, imbottigliato a marzo.
La scena si ripete per quattro vini di fila: ogni volta lui inventa descrizioni complesse, cita regioni a caso, annate improbabili, e ogni volta sbaglia clamorosamente.
Poi arriva il momento del “colpo di karma”: verso l’ultimo bicchiere, un rosato frizzante che facciamo solo per i turisti, niente di pregiato, e gli dico:
«Questo è un esperimento speciale, lo assaggi e mi dici cosa ne pensi.»
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