Lavoro in un negozio di abbigliamento da lavoro, quelli dove vendiamo tutto: tute ignifughe, scarpe antinfortunistiche, guanti, caschi, giacche con mille tasche, pantaloni tecnici da muratori, elettricisti, idraulici, infermieri, cuochi… insomma, se lavori, qui trovi i vestiti.
È un negozio piccolo, a gestione familiare. Io sono la figlia dei proprietari e da tre anni sto dietro al bancone. Mi piace perché ogni cliente che entra ha una storia. Un lavoro vero, con le mani, la fatica, le albe e i turni spezzati.
L’altro giorno è entrato un ragazzo sulla trentina, aria stanca. Mi chiede un paio di scarpe antinfortunistiche, poi resta lì a guardare le tute da saldatore. Lo vedo indeciso, così gli chiedo se gli serve aiuto. E mi dice:
— “No… è che è la prima volta che ne compro una per me. Prima me la dava mio padre. Ma adesso… adesso è il mio turno.”
Non sapevo cosa rispondere. Gli ho solo detto che questa era resistente, che durava, che ci lavorava bene anche mio zio quando faceva il fabbro.
Ha sorriso e ha detto:
— “Allora va bene. Tanto lui la guarderà dall’alto e saprà se va bene.”
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