Lavorare al CAF non è per deboli di cuore. Ti servono nervi saldi, stomaco forte e una riserva infinita di autocontrollo. E anche così, ci sono giornate in cui ti chiedi se non avresti fatto meglio a darti al giardinaggio.

Una mattina di luglio, 35 gradi fuori, condizionatore acceso per non scioglierci come gelati lasciati al sole. Entra una signora sui 70, vestita di tutto punto, passo deciso, aria da “qui comando io”.

Guarda il condizionatore, poi guarda noi. Va dritta al telecomando, che teniamo sul bancone per comodità, lo prende senza dire niente e clic, spegne tutto.
Poi si gira verso di noi con la calma di un killer:
“Non potete continuare a sprecare così l’energia. Poi ci lamentiamo delle bollette.”

A nulla servono spiegazioni su caldo, ore di lavoro, clienti sudati: per lei il condizionatore è Satana. Da quel giorno, il telecomando è custodito come il Santo Graal, sotto chiave in un cassetto del coordinatore.

Ma non finisce lì. Pochi giorni dopo, un’altra signora, cliente da anni, viene per una prestazione e, al momento di pagare, ci dice:

“Posso pagare domani che torno per l’appuntamento con S*?”*