Il giorno dopo il direttore passa a fare il solito giro. Vede il disegno del bambino, ancora lì sul pavimento (l’ho lasciato appoggiato vicino alla parete, mi dispiaceva buttarlo), lo raccoglie e lo guarda. Sta zitto. Poi mi dice:
“Claudia… ma sa che ha qualcosa? C’è un’energia lì dentro. È ironico, ma sincero. Ha una spontaneità che manca a certe cose che esponiamo davvero.”
Pensavo scherzasse. Invece no. Sta valutando di inserirlo nella sala “Dialoghi con il contemporaneo”, come provocazione sul rapporto tra arte, pubblico e infanzia.
Morale? Quando succede, perché ormai è questione di giorni, io mi licenzio e apro un chiosco di gelati. Almeno lì, la gente non chiede perché la coppetta è vuota: se è vuota, è vuota davvero.
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