lavoro in un negozio di cartucce per stampanti.
Non è un mestiere emozionante, non cambia il mondo, ma è il mio.
E oggi mi ha lasciato addosso quella sensazione sottile e fastidiosa di quando non sei trattata come una persona, ma come un oggetto di servizio.
Il cliente entra.
Non saluta.
Si avvicina al banco mentre parlo con un altro signore (educato), e mi interrompe.
Con la mano.
Tipo semaforo umano.
“Veloci, mi serve quella lì, la nera grossa. Di fretta.”
Non un “scusi”, non un “per favore”.
Io respiro.
Gli rispondo con calma:
“Un attimo, arrivo.”
Mentre concludo con l’altro cliente, lui sbuffa.
Commenta a voce alta:
“Ah, oggi ci vuole la prenotazione anche per una cartuccia…”
Gliela do.
Controllo.
Scopro che ha preso la marca sbagliata.
Glielo faccio notare con gentilezza.
Risponde:
“Vabbè, sono tutte uguali, siete voi che complicate.”
No.
Non sono tutte uguali.
E noi non complichiamo.
Facciamo il nostro lavoro.
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