Sale sul palco. Capelli più lunghi, sguardo identico. Quando ha iniziato a cantare, ho riconosciuto subito quella melodia. Era quella che suonava al flauto, dieci anni fa. Ma ora era una canzone intera. Piena. Sistemata. Cresciuta, come lui.
Non mi ha visto, non l’ho fermato. Sono uscito senza dire niente. Ma ho sorriso tutto il tragitto verso casa.
Perché a volte non serve parlare, spiegare, correggere. A volte basta ascoltare, e lasciare che una nota storta trovi il suo posto nel tempo.
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