Sono la classica zia single che da vent’anni lavora all’asilo. O almeno io mi definisco così. Sì, una di quelle che i bambini chiamano “maestra Marta” anche se ho quarantatré anni suonati, un mutuo sulle spalle e una Smart che pare un cesto della carta sporca su ruote.

Lavoro in una sezione mista, 3-5 anni, e ogni giorno è come stare in una sitcom scritta da qualcuno sotto acido. C’è chi mangia la colla, chi ti racconta che il papà “dorme spesso sul divano perché russa anche da sveglio”, chi piange se non gli esce la cacca nel tempo stabilito.

Ma quello che è successo venerdì mi ha proprio stesa.

Era il giorno del laboratorio sul corpo umano. Avevamo preparato una sagoma gigante di cartone, la solita attività didattica per spiegare ai bimbi dove stanno cuore, polmoni, stomaco… insomma, roba semplice. Avevo ritagliato tutte le parti col cartoncino colorato e le attaccavamo insieme ai bambini mentre spiegavo a cosa servivano.

Tutto fila liscio finché non arriviamo al cervello. Appiccico quel bel cervellone rosa acceso sulla testa dell’omino e dico:

— E qui c’è il cervello, che è il motore dei nostri pensieri!