Oggi te la devo raccontare. Perché mi ha fatto troppo riflettere, oltre che ridere.

Sto al mio solito turno pomeridiano in negozio, quello cinese gigante in zona industriale dove trovi letteralmente di tutto: tappeti arrotolati che non si sa come si aprono, contenitori per il riso da dieci litri, pistole a bolle, ciabatte leopardate, fiori finti e lucine a forma di panda anche ad agosto. Il mio regno, praticamente.

Comunque, mentre stavo sistemando una torre di tovagliette che era crollata tipo Jenga maledetto, entra ‘sto tipo con un ragazzino, avrà avuto dieci anni, passo da “mi scoccia pure entrare”, ma il figlio tutto curioso che toccava ogni cosa.

Si guardano intorno un po’ spaesati, poi si fermano nel corridoio delle cose per la scuola — quello dove ci sono tipo cinquanta tipi di astucci che si rompono dopo tre giorni ma intanto li compri lo stesso perché costano poco. E lì, sento lui che fa al figlio, con tono ironico e quella risatina a metà tra lo sfottò e la verità:

— “Eh guarda, magari un giorno verrai a lavorare pure tu qua…”