Stavo sistemando le ultime colombe rimaste: quelle con la glassa rotta, le scatole un po’ ammaccate, che nessuno prende perché “devono essere belle da portare”.
In coda alla cassa, silenzio. La musica in sottofondo ormai è solo per noi.
Entra un signore. Sulla settantina, cappello beige, camminata lenta.
Va dritto al reparto dolci, si ferma davanti alle uova di cioccolato e resta lì.
Fermo.
Minuti interi.
Mi avvicino.
— “Tutto bene, signore?”
Lui fa un mezzo sorriso.
— “Cerco un uovo… non troppo grande, non troppo piccolo. Deve avere la sorpresa giusta.”
Gli chiedo se lo cerca per un nipote.
— “No. È per mia moglie. È in RSA. Non mangia quasi niente, ma le piace il rumore della carta che si apre.”
Silenzio.
Poi aggiunge:
— “Ogni anno glielo porto. Lo apriamo insieme, poi io lo mangio e lei ride. Sembra niente, ma da lì parte la giornata.”
Lo aiuto a scegliere. Ne troviamo uno semplice, con la carta rosa chiaro.
Non sappiamo cosa ci sia dentro. Ma lui dice:
— “Meglio. Così si stupisce anche lei.”
Alla cassa mi chiede se posso aggiungere un fiocco.
— “Non lo vede, ma le piacciono lo stesso. Dice che si sentono.”
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