Sabato sera, pub pieno, spillatrice che va come un’idrovora, gente che urla per farsi sentire più di quanto serva.
Arriva lui, 40 anni, si piazza al bancone, mi guarda, sorride come se ci conoscessimo da sempre:
> “Fratè, una Guinness, però come la fate in Irlanda, eh!”
“Ok, te la faccio con tutta la calma e il rispetto che merita.”
> “Bravo, che l’ultima volta uno me l’ha servita come fosse una Sprite. Cose che ti segnano.”
Gliela spillo bene, col tempo giusto, la schiuma perfetta. Gliela metto davanti.
La guarda.
La studia.
Non la tocca.
> “No no aspetta. Deve *sedimentare* ancora. Lo so io, ci sono stato a Dublino. Non puoi berla subito. È come l’amore: serve attesa.”
Io intanto servo altre quattro persone. Lui sempre lì, che guarda la birra.
Poi, finalmente, la prende. Beve. Si ferma. Mi guarda. E mi fa:
> “Questa… questa è arte. Cioè, io ti vedo proprio che hai l’anima da spillatore. Una volta ero così anche io. Facevo il barista nei villaggi.
> Ma sai com’è, la vita.”
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