Lavoro nel recupero crediti da cinque anni. Ne ho sentite di ogni. Gente che piange, che minaccia, che finge di essere la nonna novantenne, che mette in sottofondo rumori d’ospedale per dire che è in coma (giuro).
Ma la storia che mi è rimasta impressa è quella del signor Venturi. Nome comune, ma lui se lo ricorderanno in tanti, qui in ufficio.
Lo chiamo per una pratica abbastanza vecchia, tipo sei mesi di bollette mai pagate. Quasi 600 euro. Numero fisso, risponde lui. Appena mi presento, mi interrompe:
«Ah siete voi, i poveracci col bloc-notes. Io non vi pago niente, siete solo dei parassiti. Fatevi una vita vera.»
Cerco di spiegare che possiamo trovare un accordo, una rateizzazione, ma lui parte in quarta:
«Rateizzazione? Ma lo sai quanto guadagno io al mese? Tu al massimo guadagni due spicci per telefonarmi. Vai a lavorare davvero invece di rompere le palle.»
Click. Chiude.
A me non è che dispiaccia quando mi mandano a quel paese. Ma con quel tono da superiore, come se fossimo feccia… lì mi scatta qualcosa.
Segnalo la chiamata al legale interno. La pratica va avanti, e dopo un mese parte il pignoramento del conto. Tempi rapidi, era già tutto pronto. Il signor Venturi ci richiama, stavolta un po’ meno arrogante:
«Ma com’è possibile? Mi hanno bloccato il conto! Avevo lo stipendio lì, il mutuo…»
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