È la gelateria di punta della città, quella dove non importa che ora sia: la fila la trovi sempre. È diventata quasi un’attrazione turistica, la gente si mette in coda come se stesse aspettando di entrare a un concerto, ma in fondo vale la pena: il gelato è davvero buono e il personale è rodato, scivolano dietro il bancone con movimenti veloci, quasi coreografici, e smaltiscono la folla con un’efficienza che rasenta il sovrumano.
Sono lì che aspetto il mio turno, una delle commesse si china per servirmi il gusto che ho appena scelto, quando alle mie spalle si materializza una figura. Una signora, visibilmente alterata, brandisce un cono come fosse un’arma bianca. Solo che la “punta” è ormai innocua: manca completamente del suo cappello gelatoso. Con tono indignato, parte all’attacco:
«A mio figlio è caduto il gelato!»
Le ragazze dietro il banco si bloccano un attimo, si guardano negli occhi come a dire “toh, ci risiamo”.
La signora insiste, affondando il colpo:
«Gli è caduto perché era molle! È uscito che era già sciolto!»
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