Sempre sera, sempre diversi anni fa, sempre il ristoPub.
Avevo preso in gestione questo locale con l’attrezzatura.
I vicini del piano di sopra (coppia poco più che trentenne con figlio) si erano lamentati più volte del rumore del motore della cappa; io avevo riportato la cosa al proprietario delle mura, che sicuro del suo rispose di chiamare pure i vigili urbani se avessero avuto ancora da ridire, cosa che io riportai fedelmente agli interessati (ben contento di non dover più fare da intermediario).
Devo essere sincero, io da giù non sentivo nulla, ma mi dicevo magari il rumore si sente solo sopra, magari è insonorizzato solo sotto…
Insomma non avevo motivo di credere che non fossero legittime le loro rimostranze.

Una sera, nel pieno del servizio, sento squillare il telefono. Troppo tardi per una prenotazione.
Risponde una mia collaboratrice che mi dice che è il vicino di sopra che mi vuole parlare.
Le dico di dirgli che sto ancora lavorando, e che lo avrei richiamato appena possibile.
Richiama, stessa identica scena.
Chiama un’altra volta, e chi prende la telefonata mi dice:
“Oh questo sta dando di matto.”

Prendo la telefonata e vengo sommerso da urla:
“Guarda non è possibile, dice mia moglie che il rumore è assurdo, mi dici come faccio io, che sono fuori per lavoro a lasciare mia moglie disperata e mio figlio piccolo a casa da soli mentre FUORI C’È LA GUERRA.”
Conclude invitandomi a salire a casa sua per rendermi conto della situazione.
Oh, a me sembrava assurdo perché comunque di tutto sto casino noi non sentivamo manco l’eco, ma d’altronde, non sarà mica pazzo mi dicevo no?

Salgo su, mollando la cucina a fine servizio perché sia mai che abbandoni una donzella con prole in mezzo ai “rumori della guerra” (cit. del donzello.)
Mi apre sta signora, che per essere in trincea non mi pareva così sconvolta.
Comunque, subito inizia dicendo:
“Grazie per essere salito, guarda mi dispiace ma davvero non si può stare, guarda vieni a sentire tu stesso.”
“Tranquilla ci mancherebbe, mi faccia sentire che così posso finalmente dire al proprietario di far qualcosa.”

Arriviamo in cucina, finestra chiusa “per il rumore”:
“Ecco, senti?”
“Mmmh… No…”
“Sicuro perché la finestra è chiusa…ora senti?”
“A dire il vero no…”

Mi avvicino alla finestra, mi sforzo di sentire. Macchine in lontananza, uno sportello che si apre e chiude, nient’altro. Proprio zero.
Non capisco, la guardo, no, non sta scherzando.
Mi sforzo ancora di più, e ad un certo punto sento un suono sordo, tipo una specie di rantolio breve e soffocato.

“Ma, dice questo rumore ritmico che sento? Tipo un grattare di ingranaggio…”
“Mmm, no. Questo è mio figlio che russa nell’altra stanza.”
Giuro, non l’ho guardata in faccia perché in quel momento la mia espressione era tipo quella dei manga, scuri in volto e con la gocciolina che scende dalla fronte. Impossibile simulare indifferenza.
“Aspetta vado a chiudere la porta.”
“Ok…”

Torna, nel frattempo riesco e montare una poker face e la vedo tutta soddisfatta:
“Ora lo senti?”
Non sapendo come fare in quella situazione surreale, trattengo platealmente il respiro e piego proprio la testa come se avessi le orecchie direzionali…
Mentre cerco un modo per dirle che ha delle fottutissime allucinazioni uditive, lo sento: un rumore bassissimo, appena percettibile, di una ventola.
Giuro, tiro un sospiro di sollievo, NON SONO IN UNA CASA DI PAZZI.
La guardo sinceramente sollevato e le dico.

“Ah si, ecco. Ora lo sento. Ma non mi sembra venire da fuori. Scusi, ma non viene da di là?”
Indico il fondo della casa e lei ascolta un attimo, poi mi guarda e tutta contenta mi fa “Ah aspetta”, sparisce in quella direzione e torna dopo pochi secondi.

“Lo senti ancora?”
Effettivamente non sentivo più nulla.
“Era la ventola del PC! Ora l’ho spento!”

“Adesso il rumore fuori lo senti?”

Comunque prima di andarmene le ho suggerito di non chiamare nessuno, perché non c’erano sicuramente gli estremi, e la conversazione si concluse, degnamente, così:

“Eh, forse siamo noi abituati ad un silenzio più da campagna.”
“Ah, prima vivevate in campagna?”
Non che la cosa giustificasse, ma almeno ridimensionava un po’ la cosa: il silenzio totale, la mancanza di vicini…
Lei mi guarda negli occhi, mi sorride e mi risponde, candida e totalmente no sense:
“No.”