Mi chiamo Claudia, ho 37 anni e da dieci faccio la guida in un museo d’arte contemporanea. Non è il lavoro più semplice del mondo, ve lo dico. Devi conoscere bene le opere, saper reggere l’ironia (o l’arroganza) di certi visitatori e trovare il modo di spiegare una tela completamente bianca senza ridere o arrossire.

Il punto è che ormai ho imparato a distinguere subito quelli che sono lì per curiosità da quelli che entrano solo perché piove. E poi ci sono quelli che fanno sembrare tutto un episodio di una sitcom. Come quella famiglia, sabato scorso.

Padre, madre e un bambino di sei anni scarsi. Entrano a metà pomeriggio, lui mangia un pezzo di focaccia di nascosto dalla madre, lei con lo zaino ancora in spalla, il bambino che cammina solo a salti, come se il pavimento fosse fatto di lava.

Faccio un cenno di saluto, mi rispondono sorridendo e proseguono da soli. Io li tengo d’occhio da lontano. Quando entrano nella sala 3, già so che succederà qualcosa. Perché lì c’è “Oltre il confine”, una delle opere più discusse che abbiamo: una tela gigantesca, completamente bianca, con una sola linea blu verticale, storta. C’è tutto un discorso dietro: il gesto, il vuoto, la tensione spaziale. Ma capisco che a colpo d’occhio sembra una tela che ti sei dimenticato di finire.

Il bambino si blocca davanti, serio. Dopo cinque secondi dice:
“Mamma, chi è che ha sbagliato col pennarello?”