Un silenzio.
Denso. Lunghissimo. Interrotto solo dal “bip” del computer che segnava il prestito del suo libro.
Il suo sguardo è cambiato in un attimo. Niente più disprezzo. Solo un filo di paura. E forse – forse – un briciolo di vergogna.

Ha preso i suoi romanzi e se n’è andata piano piano.
La collega ha sospirato come se le avessi appena evitato un attacco d’asma.
Io sono tornata al mio lavoro, con i miei tatuaggi e i miei “cosi di metallo sulla faccia”.

E una convinzione rafforzata: la cultura, a volte, è più utile della tachicardia.