Mi chiamo Guido, ho insegnato educazione musicale per trentasei anni in una scuola media di provincia. Ora che mancano pochi mesi alla pensione, mi sto rendendo conto che certe cose ti rimangono incollate più di quanto pensi.
Qualche giorno fa, nel ripulire l’armadietto della sala musica, ho trovato un flauto dolce spezzato in due. Non so chi l’abbia lasciato lì, né da quanto tempo fosse lì. Ma ho riconosciuto la custodia: era quella che usava Giovanni, un mio alunno di una decina di anni fa.
Giovanni non parlava quasi mai. Mai un sorriso, mai un lamento. Era uno di quei ragazzini che sembrano trasparenti, non per colpa loro, ma perché il mondo intorno fa troppo rumore. Non sapeva leggere le note, non seguiva il tempo, eppure ogni volta che facevamo esercizi con le percussioni, lui trovava sempre una linea ritmica tutta sua. Sbagliata, tecnicamente. Ma ostinata, viva.
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