Pomeriggio caldo, sole filtrato dalle vetrine, luce perfetta per osservare la vanità umana riflessa sull’acciaio satinato delle fotocamere.
Sono ambassador in un noto negozio emiliano, quello dove il minimo sindacale di un obiettivo “basic” costa più di una vecchia Panda messa bene.
Ho davanti a me tutta la linea di una fotocamera super premium, e quando dico “super” intendo che la lente più scarsa supera i 2.000 euro come se niente fosse.

A un certo punto… eccolo. Entra.
Pantalone bluette con risvoltino modello alluvione del Po, borsello in pelle (non quella elegante: pelle di operaio ceramico a fine turno), camicia di lino bianco appena stropicciata quanto basta per dire “me ne frego ma con classe”, occhiali da design che sembrano usciti da una collaborazione tra un architetto e un ottico frustrato. Ai piedi? Mocassini, ovviamente. Di quelli senza calzini, con l’aria di chi sta per salire su uno yacht che non ha.

Appena entra inizia lo show.
“Ohhh, bella quella lì… ma sai, io uso solo full frame, ho una collezione di ottiche vintage, una delle mie preferite è una 58mm russa modificata a mano da un vecchio ottico cieco del Caucaso…”
Via così.
Snocciola il suo arsenale di lenti leggendarie, fotocamere rare, viaggi fotografici in location “premium” (ha detto proprio così: location premium), reportage mistici fatti in Islanda, Giappone, Islanda di nuovo (pare che ci torni spesso), e poi Mongolia “ma quella vera, eh, non quella da turisti”.