Lavorare ai tempi del Coronavirus. Luisa, operatrice logistica di una ditta di autotrasporti che si occupa di spedizioni nazionali e internazionali. Da domani anche il nostro settore subirà un possente scossone in seguito all’ultimo decreto ministeriale, ma il succo è che noi non chiuderemo. Dovremo forse consumare le ferie (che per fortuna abbiamo d’avanzo), poi non so cosa accadrà, ma credo che potremo arrivare alla fine senza un giorno di chiusura. Di per sé non sarebbe un male, se non fosse che la nostra attività si concentra per un buon 80% sul trasporto di beni non essenziali alla società in questo momento e anche prima di questo ultimo decreto per me era una gran fatica trovare un senso nell’andare a lavorare. Ci hanno sparpagliati più lontani possibile, col risultato che io (che tra l’altro sono incinta di quasi 6 mesi) sono isolata a lavorare in una stanza normalmente vuota, con grande disagio per un mestiere che ha bisogno di comunicazione verbale costante e immediata tra colleghi. Tutti rispettano le norme di sicurezza, ma il nervosismo è palpabile ed è chiaro che nessuno punta i piedi e decide di stare a casa per non scatenare odio e invidia negli altri. Per di più, stiamo lavorando a ritmi allucinanti perché fino a venerdì scorso i clienti ancora aperti hanno ordinato a volumi tripli rispetto al solito (panico da possibile chiusura) e contemporaneamente i trasporti non vanno come dovrebbero (pochi autisti disposti a lavorare in Italia, dispositivi di sicurezza introvabili, molti magazzini chiusi ecc.), per cui il lavoro è particolarmente frustrante. Per riassumere, io me ne starei volentieri a casa in quarantena o in prima linea a fare qualcosa di utile per il prossimo, piuttosto che passare le mie giornate a tribolare e a far perdere denaro all’azienda (i costi dei trasporti sono raddoppiati) per far girare su strada materiale che non serve a nessuno in questo momento. Ho paura per me, per mio marito e per le mie figlie, e non posso nemmeno dedicarmi a loro con serenità nel mio tempo libero, perché torno a casa imbevuta di disinfettante e più stanca del solito, sia fisicamente che emotivamente, e soprattutto non trovo un senso al mio faticare.