Un lavoro delicato.
Io caposquadra protezione civile con due colleghi volontari, tutti in divisa e mezzo con insegne con su scritto “Assistenza alla popolazione”.
Piena, prima ondata covid.
Servizio consegna a domicilio, pacchi alimentari a richiedenti con difficoltà.
Quartiere ultra popolare di Roma, surrealmente deserta.
Verso fine turno consegniamo ad un casermone con portiere.
Cognome del destinatario scritto male dal Comune, telefono irraggiungibile, noi stanchissimi fisicamente ed emotivamente.
La portiera si avvicina lemme lemme vedendoci in chiara difficoltà:
“Moro, che stai a cercà?”
“Un utente, ma non si preoccupi, che ora in qualche modo risolviamo.”
“Si ve posso da na mano, dite puro a me.”
“Grazie ancora signora, ma anche volendo non potrei, c’è la privacy.”
Portiera stendendo le braccia come per avere il pacco: “Ma io, conosco tutti e mica sò pettegola, me vonno tutti bene.”
“Signora guardi, che proprio non possiamo dire nulla e lasciare né pacchi e né avvisi, c’è la privacy non mi metta in difficoltà.”
La portiera torna in guardiola molto stranita, bofonchiando martirologi romani perfettamente udibili.
Nel frattempo i colleghi riescono a parlare al telefono con il destinatario, il quale fornisce loro scala e citofono.
Si avviano attraversando il cortile immenso ed io mi avvicino alla auto di servizio per accendere una sigaretta.
Ho un sesto senso.
Ritorno indietro di qualche passo e vedo la portiera che quasi “pedina” i colleghi fosforescenti.
“Portieraaaa! Ma che davero davero? Menomale che diceva de nun esse pettegola!”
Lei cambia scala e sparisce quasi correndo in una cantina.