Sono una ragazza di 25 anni, con le mani spesso sporche di olio e il cuore pieno di passione per i motori. Mi è sempre piaciuto capire come funzionano le cose, smontare e rimontare, ascoltare un motore che gira bene e pensare: “Ok, qui c’è il mio tocco”. Lavoro come apprendista in un’officina meccanica in un piccolo paese del Friuli. Nonostante le dimensioni del posto, siamo su una strada statale piuttosto trafficata, quindi tra tir, SUV e Fiat Panda modificate, di lavoro ce n’è sempre.

Sabato scorso entra in officina un cliente con un’aria parecchio impaziente e la macchina parcheggiata un po’ storta. Scende, sbatte lo sportello e si avvicina con passo deciso.
Io ero lì, già in tuta, le mani nere di grasso, i capelli raccolti, praticamente uno stereotipo ambulante da film anni ’90.

Lui mi squadra velocemente e senza nemmeno dire “ciao”, mi fa:
“We bella, chiamami il meccanico, che ho fretta.”

L’ho guardato.
Sorriso professionale.
Internamente? Già immaginavo di usare una chiave inglese per grattarmi la pazienza.

Gli dico, con la voce più tranquilla del mondo:
“Sono io il meccanico.”