Poi tocca al prosciutto.
«Dolce o saporito? Con o senza grasso? E di che marca è? No, lo tagli più fino. Più fine, ho detto. Mmmh… me lo fa assaggiare?»

Io, dietro, già guardo l’orologio. 12:18.
Lei passa al pane. Non quello lì, l’altro. No, quello integrale ma senza semi. Ma con crosta croccante. Ma non troppo.
Poi le olive, poi due parole sulle melanzane sott’olio, domande sui barattoli in vetro, sulla provenienza, su come sono stati coltivati gli ortaggi, e pure — giuro — sul tipo di sale usato nella salamoia.

Sembrava un interrogatorio del Gambero Rosso.

Ventuno minuti così.
Io lì, con la fame da lupi e la pazienza ridotta a briciole.

Quando finalmente fa per chiudere la spesa, tira fuori il portafoglio, ma poi si blocca e fa:
«Ah, un’altra cosa…»

A quel punto tossisco apposta. Una di quelle tossi teatrali, secche, tipo “scusate ma esisto anch’io”.
Il negoziante mi guarda e fa:
«Giovane! Serve qualcosa?»

Neanche glielo lascio finire:
«Due panini col crudo, grazie. Veloci.»

La signora si gira, finta sorpresa:
«Ma io non ho ancora finito la mia spesa!»

Il negoziante, senza scomporsi, continua a tagliare il prosciutto e risponde:
«Suvvia, signora… lo vede che il ragazzo ha fretta? E nonostante tutto, l’ha fatta pure passare avanti.»