È luglio.
Fa caldo, i saldi sono ormai alla frutta e io sto sistemando con pazienza certosina gli ultimi body in ordine di taglia, cercando di non sciogliermi sul banco.
Entra lei.
Signora sui sessanta, sguardo deciso, passo marziale da comandante in missione. Appena varcata la soglia, lancia la voce che rimbomba fino al reparto scarpe:
— Cerco dei body da neonato MASCHIO!
“Maschio”. Proprio così. Con le lettere maiuscole, sottotitoli invisibili e punto esclamativo finale.
Mi giro, la saluto col mio sorriso professionale, e le mostro la selezione: tinta unita, righe, stelline, animaletti, maniche corte, lunghe, spalline sottili. Un piccolo campionario di dolcezza.
Lei li scruta come uno scanner all’aeroporto. Niente sfugge al suo occhio vigile. Poi, inevitabile, la domanda:
— Ce l’ha qualcosa in saldo?
Certo. Prendo un modello azzurro chiarissimo, delizioso, con piccoli arcobaleni stampati.
Neanche il tempo di aprirlo che parte il ruggito interiore:
— Ma no! Gli arcobaleni no! Non è da MASCHIO! Suvvia!
Mi fermo. La guardo. Cerco le parole. Le trovo.
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