Sono in cassa, pieno pomeriggio, e vedo che si sta formando quella tipica fila da esaurimento nervoso, quella che comincia piano e poi in due minuti diventa il serpentone da giostra.
La mia collega, che stava in cassa 1 ma senza clienti al momento, mi guarda e mi fa:
“Mandameli qui che ti alleggerisco un po’.”
Perfetto. Giro la testa verso la fila e dico con voce chiara:
“Se volete, potete passare anche alla cassa 1.”
Come per magia, metà clientela devia. La fila si dimezza. Io tiro un mezzo sospiro di sollievo.

Dopo un po’ arriva una signora, sulla settantina, con il carrello pieno e l’aria di chi è pronta a conquistare lo scontrino. Comincia a caricare la spesa sul nastro, ma la signora davanti a lei, con tono da vigilante volontaria, la blocca:
“Signora, guardi che la cassa è chiusa. Non vede che è spenta?”

Io a quel punto, ancora seduta, con le mani sulla tastiera e la luce verde accesa sopra la mia testa che pare il semaforo di Monza, le dico:
“Mi scusi, ma la cassa non è chiusa. Non ho mai detto che fosse chiusa.”