Attivare una tessera fedeltà, in teoria, dovrebbe richiedere meno tempo di una cottura al microonde.
In pratica, diventa un test psicologico degno di Stanford.
Succede quasi sempre, a ogni singolo cliente.
— “Mi servirebbe un’email, per favore.”
Ed ecco che parte il delirio.
— “Allora, scriva: mario… tutto attaccato… r… i… o…”
— “Scusi, può ripetere da capo?”
— “Sì: M, A, R… aspetti, con la maiuscola o minuscola fa differenza?”
— “No, è un’email, non cambia.”
— “Perfetto: marioruggierosoi tutto attaccato chiocciola gmailpuntoit. No aspetti, è libero! O era quello del lavoro? Vabbè metta gmail, se no poi non mi arriva la pubblicità.”
— “…Ok.”
Dopo tre tentativi, correggo le vocali sbagliate, tolgo spazi che non esistono, inserisco il simbolo @ che viene letto come “chiocciola” ma a volte anche “snail” da quelli troppo giovani o troppo confusi.
Poi:
— “Benissimo, per completare mi servirebbe una firma con il pennino qui, e poi premere ‘OK’.”
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