L’hotel è già pieno, colazione in corso per i clienti in partenza, tavoli occupati, buffet appena rifornito.
I nuovi arrivati si buttano dentro come in un’asta del pane.
«Dove ci sediamo?»
«Ma non c’è un tavolo per tre vicino al sole?»
«Io voglio stare con Enrica, non con mia cognata.»
«C’è latte d’avena?»
(Scusate, siete arrivati in pullman, non all’Eden.)
Il buffet è self service, scritto ovunque. Ma per loro è solo una decorazione.
«Giovane, mi porta lei un cappuccino?»
«Io vorrei la brioche col miele, ma se me la può aprire lei perché ho l’artrite.»
«Cos’è sta cosa? Marmellata? Ma a che gusto è? Non si legge niente!»
(Il cartello diceva “albicocca” grande quanto una pagina di giornale.)
Intanto, la reception è diventata il centro ricreativo.
Le valigie ovunque, gente seduta a caso, chi chiede i documenti, chi ha perso i documenti, chi chiede se in stanza c’è la coperta pesante “perché stanotte danno freddo”.
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