Bar.
Mattina di quelle classiche: flusso continuo di clienti, profumo di caffè ovunque, quotidiani spiegazzati sui tavolini, lo stesso tizio di sempre che pretende il cornetto senza zucchero ma con la glassa, e una lunga fila di “un espresso al volo” che però non è mai al volo.
A un certo punto entra una signora. Mai vista prima. Occhiali scuri, foulard al collo, passo deciso e faccia di chi è abituata a dettare, non a chiedere.
Si avvicina al bancone e ordina un cappuccino. Punto. Nessuna specifica. Nessuna richiesta.
Le preparo un cappuccino classico, in tazza, con un po’ di schiuma, niente di strano. Lo beve tutto in silenzio. Poi, mentre poggia la tazzina vuota sul piattino, mi guarda e con voce da attrice teatrale dice:
“Comunque io il cappuccino lo prendo in vetro e con tanta schiuma.”
Mi viene quasi da ridere. Come se fosse colpa mia non aver letto i suoi pensieri.
Sorrido.
“Bene, signora, la prossima volta glielo farò come desidera.”
E lì dentro, tra me e me, penso:
“Ecco, un’altra adepta della setta del cappuccino personalizzato, quelli che ti descrivono una geometria liquida come fosse una formula alchemica.”
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