Passa una settimana. Io ormai me l’ero dimenticata. Ma il destino, si sa, ha un debole per i baristi.
Eccola che torna. Stesso foulard, ma occhiali diversi. Stavolta mi guarda con uno sguardo che mischia aspettativa e severità.

Faccio il brillante, provo a prevenire.
“Signora, se mi dice esattamente come lo vuole, stavolta le piacerà di sicuro!”

E lei, illuminata dalla possibilità, parte con la descrizione.
Ma non tipo “più caldo” o “meno latte”.
No.
Parte con una vera e propria procedura tecnica da laboratorio chimico.
Allora… ci deve essere poco caffè. Poi due dita di latte, non troppo caldo, e un dito di schiuma, montata bene. Ma non schiuma secca, eh. Densa, ma non secca. Poi, quando hai fatto questo, ci aggiungi dell’altro caffè sopra.

Resto lì. A bocca semiaperta. Fisso il bancone.
Mi viene in mente la scena mitica di Giovanni di A, G e G:
Un latte macchiato… tiepido… senza schiuma… con poco caffè… tiepido, eh! Non freddo!