Premessa: all’entrata del cinema dove lavoro abbiamo una macchina che ti dice la temperatura corporea.
Il proprietario l’ha fatta installare subito dopo il primo lockdown.
Di tanti problemi avuti da quando abbiamo riaperto, dai clienti che si rifiutavano di indossare la mascherina, il distanziamento sociale, il track and trace etc… Nessuno ha mai avuto da ridire su questa macchina.
La gente ci si mette davanti apposta perché prendono la telecamera come uno specchio e si divertono a farsi dire la temperatura.

In una giornata tranquilla, io e il mio collega stiamo pulendo il bancone, quando una donna entra. La macchina fa il suo lavoro e si sente la voce robotica dire: “Temperatura 36.5. Normale.”
La donna fa un salto e comincia:
Oh Dio! Cos’era?
Oh, è solo la nostra macchina che dice la temperatura.
Ma io non ho dato il mio consenso a farmi prendere la temperatura!
Beh, io non ho dato il mio consenso a dover parlare con una rompipalle di prima mattina, quindi siamo entrambe vittime delle circostanze!
Prima che potessi rispondere, questa si mette una mano sul petto in stile opera tragica e, orripilata, chiede questo:
Ma non è che legge i miei dati biologici?
Sì, vabbè! Ora anche l’indirizzo, numero di telefono e i dati bancari.
E qui il mio collega, dall’alto del più totale menefreghismo e basso istinto di sopravvivenza nel mondo del customer service che è permesso solo ai giovanissimi (16 anni), alza gli occhi al cielo e le risponde, malcelando un tono di derisione più unico che raro.
Funziona ad infrarossi, non legge proprio niente di biologico.
Io già sono pronta alle urla, ma la donna invece rimane interdetta, probabilmente mortificata dal fatto che un ragazzino le abbia sbattuto in faccia la sua stupidità con cotanta leggerezza e noncuranza.
Ha continuato a lamentarsi di come certe macchine in realtà ti controllino (sì certo, Terminator vuole sapere se hai la febbre oppure no), ha comprato i biglietti e se n’è andata.