Penso che se ogni tanto si racconta qualcosa di triste o di umano,non fa male a nessuno.
Questo aneddoto è accaduto esattamente un anno fa: da allora non l’ho mai più visto, questo nonnino.
Metà mattina, giorno settimanale, primo lockdown.
Arriva un nonnino sui 75 anni nella mia postazione di telefonia e mi chiede di aiutarlo a far ripartire il cellulare, perché non riesce a ricevere i messaggi.
“Lo sa, mi ha convinto mio figlio ad acquistare uno smartphone poco prima del “blocco”, visto che vivo da solo…ma non mi ha spiegato bene come usarlo.”
Glielo accendo, digita il suo pin di sicurezza e mi appare un distinto, giovane e sorridente signore in piedi, con un bel paesaggio marittimo dietro di sé.
Lui subito sottolinea che si tratta di suo figlio, dice il nome e scopri che è nato pochi anni prima di te.
Sorrido ma cerco di capire il perché non si connette. Subito dopo scopro che si è semplicemente scollegato ad internet…nulla di più.
In un attimo arrivano centinaia di messaggi rimasti nel limbo per mesi, lui li apre e scoppia in lacrime: sono tutte immagini di WhatsApp che arrivano da un solo nominativo femminile.
“Vede, questa signora è mia nuora. Sa, mio figlio è morto 3 mesi fa, di quella cosa lì…”
Io resto allibita, ma lui sente proprio il bisogno di raccontare il suo dramma, di trasmettere il suo infinito e solitario dolore.
“Si è sentito male signora, me lo hanno ricoverato a Novara e dopo pochi giorni se n’è andato. Me lo hanno cremato signora e poi mi hanno consegnato una scatoletta con le sue ceneri…non credo nemmeno che siano le sue, ma sa com’è…non potrò mai scoprire la verità. Ho pagato € 4000 per riavere mio figlio in una scatoletta, si rende conto?”
Silenzio. Lui tiene stretto in una mano il telefono e con l’altra tiene una mascherina fatta in casa con dei disegnini tipo piastrelle da cucina anni ’70.
Io non so cosa aggiungere.
Non posso perettermi di abbracciarlo e non posso nemmeno di stringergli la mano, visto e considerato le rigide misure sanitarie adottate.
In pochi istanti arriva gente, sono da sola e lo devo salutare.
Lui chiede scusa per lo sfogo ma io gli dico solo:
“Se dovesse capitare di nuovo, faccia solo così…Se ha bisogno torni: io sono sempre qua.”
“Quanto le devo?”
“Ovviamente nulla, stia tranquillo.”
Se ne va ed io fatico a riprendere a lavorare senza d’istinto avere una gran voglia di piangere…
Torna nel pomeriggio e cerca subito il mio sguardo, lo saluto gentilmente ma sono presa con altri clienti e non posso “distrarmi”. Lo gestisce il mio collega, al quale spiego che al mattino aveva spento i dati e nient’altro.
In un attimo gentilmente lo aiuta e se ne va. Gli ripeto per l’ennesima volta che se ha bisogno, io sono qua.
Mi sorride dolcemente e si allontana.
Io prego ancora che torni per poterlo aiutare nuovamente, non ad alleggerire il suo dolore, ma quantomeno con il cellulare.
Ora è davvero solo al mondo.
La vita è alquanto strana e non si esime mai dal darti sempre una lezione indimenticabile.
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