Non sono un’eroina.
Non ho scelto questo lavoro per vocazione.
Sono una persona che deve andare a lavoro, che si è ritrovata a doversi mettere una mascherina sul viso e a dover improvvisamente pensare a tutelare la salute degli altri oltre che alla sua.
Non sono un’eroina e devo andare a lavoro.
Ma sono una mamma che ha dovuto rinunciare ad abitare sotto lo stesso tetto con il figlio per paura, per precauzione, perché in questo momento un abbraccio o un bacio potrebbero fare male e allora meglio la lontananza.
Ce la metto tutta a stare attenta, ma posso avere un momento di distrazione; soprattutto quando stai facendo un lavoro che ormai si ripete da anni sempre nella stessa maniera. Puoi compiere un gesto ingenuo e la sera non riesci a dormire .
Non sono un’eroina, ma vado a lavorare e metto la mascherina, disinfetto mille volte i guanti perché il pensiero va al mio babbo che avrebbe dovuto fare una piccola operazione al cuore ma è stata rimandata, perché avrebbe occupato un posto in terapia intensiva; così lo saluto dalla finestra.
Non sono un’eroina, ma devo andare a lavoro e ho paura.
Ho paura perché nonostante cerchi di stare attenta devo stare tante ore tra le persone.
Ho paura di quella parte spavalda, che dice che la mascherina “non è obbligatoria e poi non me la metto perché tanto non serve a niente”, che viene a fare la spesa e nel cestino mette quattro cose, persone che sostengono che sia tutto esagerato, che sia un’influenza che uccide solo chi ha già patologie, persone che non hanno capito.
Giovani che si sentono invincibili e anziani che forse credono di non aver niente da perdere.
Io ho paura di loro.