Passa mezz’ora. Sto servendo altri clienti e lo rivedo avvicinarsi. Mi sorride soddisfatto, poggia la sua spesa sul nastro: quattro articoli precisi, tra cui un vasetto di yogurt greco da 2 euro che secondo me non avrebbe mai comprato se non per far cifra tonda.
Totale: 11 euro e 39 centesimi.
Gli dico: “Mancano 31 centesimi. Deve aggiungere qualcosa, altrimenti il buono non si può applicare.”
Mi guarda confuso, come se stessi recitando una formula arcana.
“Eh ma… ho fatto apposta la spesa sotto, così lo uso.”
“Ma deve spendere almeno 11,70, il valore del buono. Non può usarlo per meno, se no resta inutilizzabile il resto.”
Lui sbuffa, non dice niente, lascia lì tutto e se ne va verso gli scaffali, con passo lento ma deciso, come se stesse affrontando una missione importante.
Io sospendo lo scontrino, passo al cliente successivo, poi a quello dopo. Dieci minuti abbondanti. Torna.
Ha in mano un Tronky. Uno.
“Ecco, aggiungo questo.”
Riprendo lo scontrino sospeso, inserisco il Tronky. Il totale sale a 11,81 euro.
“Guardi, ora è oltre. Mancano 11 centesimi.”
Lui sgrana gli occhi.
“Eh? Ma io non ho altri soldi!”
“Capisco, però… adesso supera l’importo del buono. O aggiunge 11 centesimi, o toglie qualcosa. Non posso né restituirle la differenza, né chiudere la cassa in ammanco.”
“Ma sono solo undici centesimi!”
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